giovedì 1 aprile 2010

Gli alberi

Le prime esplosioni rimbombarono nel pomeriggio, mentre stavo chiudendo l'ultima valigia. Celio Rodigino mi aveva convinto a tornare alla nostra terra natìa, abbandonando per sempre il quieto esilio di Pipponia. Dopo il primo botto, un crepitio di spari, grida, nuove esplosioni squarciarono l'aria secca del pomeriggio. Poi Celio entrò di corsa nella stanza, gridando: "Gli alberi si sono ribellati". La sua espressione era stravolta, ma la voce tradiva un tono festante. Era scoppiata la rivoluzione.
Gli alberi erano lì da sempre. Alcuni di loro avevano millenni, ma erano consci che eterne erano solo le rocce e la terra. Quando gli animali parlanti arrivarono dalla terra al di là del mare, gli alberi ricoprivano quasi tutte le pianure e le colline di Pipponia. Accolsero gli animali parlanti, diedero loro rifugio e offrirono loro i propri frutti. Gli animali parlanti chiesero legna per le proprie case. Gli alberi offrirono i tronchi di alcuni di loro ormai da tempo rinsecchiti. Ma agli animali parlanti non bastò. Avevano bisogno di spazio per coltivare i campi, per estrarre i metalli dalla roccia e per costruire le loro città. Chiesero agli alberi di spostarsi in un'area più a sud e di abbandonare ogni pretesa sulle loro terre. Alcuni piccoli boschi si ribellarono. Furono rasi al suolo. Dopo qualche tempo, gli alberi accettarono la pace. Andarono a sud, ma il terreno che gli animali avevano scelto era arido. Molti morirono, molti cercarono di tornare nella loro terra, ma gli animali parlanti avevano già occupato ogni millimetro di suolo e li scacciarono. Si spostarono allora ad est, in una grande vallata dove gli animali parlanti non erano ancora arrivati. Vissero in pace per anni, poi gli animali parlanti arrivarono anche lì. Nuovamente distrussero e incendiarono i boschi, gli alberi reagirono furiosi. Molti animali e molti alberi morirono, poi gli animali proposero un nuovo trattato di pace e gli alberi lo firmarono, accettando di trasferirsi in un territorio più piccolo, che sarebbe stato loro. Due anni dopo, gli animali parlanti iniziarono a costruire una ferrovia su quel territorio, gli alberi si ribellarono. Furono decimati. La guerra durò vent'anni. Alla fine, poche centinaia di alberi furono costretti a sopravvivere in una piccola conca a nord, ricordando con nostalgia i tempi in cui il loro popolo spaziava da un mare all'altro di quella vasta e florida terra.
Adesso gli alberi si erano ribellati di nuovo, ma non si sapevano i motivi che hanno scatenato la rivolta. Io e Celio ci affacciammo alla finestra, entusiasti. Fuori alcune marmotte stavano puntando un cannone verso la strada principale. Di colpo un enorme albero fronzuto apparve sfondando la facciata di un'edificio. Menò fendenti con i rami, scagliando gli animali in ogni direzione. Le marmotte fuggirono disordinatamente. Il loro comandante radunò un drappello, presero armi incendiarie e contrattaccarono, avvolgendo di fiamme l'albero. In fondo alla strada, le ombre delle piante in avvicinamento erano accompagnate dal rombo dei loro passi. Gli animali parlanti si stavano radunando nuovamente, pronti a sferrare il contrattacco, forti delle loro armi. Io e Celio ci parlammo con gli occhi: eravamo diversi dagli animali parlanti che governano Pipponia da quando siamo arrivati qui, la loro guerra non era la nostra guerra. Non eravamo neppure lontanamente parenti degli alberi, eppure la loro guerra sentivamo che ci riguardava. Avevamo in casa alcune carabine: ce le aveva regalate il governo per difenderci dagli alberi. Le imbracciammo e uscimmo a combattere assieme agli alberi.

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