Mentre i Vetusti scaldapoltrone ammuffiti già stappavano mezza riserva di Duval Leroy assieme ai massoni di Orlando Lupani, per festeggiare la definitiva scomparsa di Monello Vianello, un lungo articolo del direttore del Corriere del Veneto, Ugo Savoia (in una foto di repertorio), solleva forti dubbi su come siano andate veramente le cose. Aggregatosi alla spedizione di Tornello Vianello per cogliere l'esclusiva opportunità di rendere compiuta cronaca dei fatti, lo stimato giornalista scrive di non volere rinunciare a quell'obiettività giornalistica che fa del suo un mestiere credibile. Riportiamo per esteso la sua testimonianza.
Ero con Tornello Vianello, quella notte gelida in cui un drone militare americano ha raso al suolo con un missile il rifugio segreto in Azerbajian di Monello Vianello. Ho assistito di persona al disastroso attacco dal cielo e alle fasi successive, quando Tornello Vianello in persona, assieme ad un commando armato, hanno passato al setaccio la zona e finito di distruggere ciò che rimaneva dell'edificio, accertandosi così di non lasciare alcuna speranza di sopravvivenza a chi vi fosse rimasto dentro. Ma nessuno ha visto il corpo di Monello Vianello, sempre che dopo un simile dispiegamento di fuoco ne sia rimasto qualcosa. E' vero anche che le fasi successive sono state segnate da una grande concitazione: l'esercito americano ha preteso che sgomberassimo il campo il più in fretta possibile, prima che le autorità azere accorressero per capire cosa fosse successo, generando un inevitabile scontro diplomatico.
Ma ciò che ho visto e sentito, mentre abbandonavamo la vetta su cui stava abbarbicato l'eremo di Monello Vianello, è sufficiente a porre degli inerrogativi. Innanzitutto: nessuno ha trovato traccia di Urnayr, il cavallo bianco di Monello Vianello, che a rigor di logica avrebbe dovuto essere nella staccionata vicino alla casa. E' assurdo pensare che il suo padrone lo abbia liberato prima del nostro arrivo: per quale motivo l'avrebbe fatto? In secondo luogo, è possibile che una persona che godeva della protezione del presidente Ilham Aliyev non avesse i mezzi per prevedere il nostro attacco e, magari, preparare una via di fuga? Desta stupore, infatti, che a più di ventiquattr'ore dal bombardamento, non una nota sia giunta dal governo dell'Azerbaijan, come se l'attacco militare avvenuto in casa loro in fondo non li preoccupi più di tanto. Non ne è apparsa notizia nemmeno nei telegiornali locali. I motivi possono essere tanti, ma andrebbero esplorati.
Poi ci sono le testimonianze di alcuni abitanti del luogo. Un contadino, che ho incontrato poche ore prima dell'attacco, mi ha parlato di un visitatore giunto su un autoblindo poco prima del nostro arrivo. Ne abbiamo trovato le tracce sulla strada che conduce all'eremo. E che dire di quanto riferito da Adolf, il nostro collaboratore altoatesino, che con brividi di paura racconta di avere sentito distintamente risate di scherno provenire dalla valle, mentre il fragore delle granate assordava chi stava distruggendo le macerie infuocate? Adolf sostiene anche che alle voci sbeffeggianti si sovrapponeva di continuo una sorta di altoparlante che mandava canzoni di Pietro Gori. Ne ho sentite alcune note anche io, portate dal vento, mentre i miei compari festeggiavano la distruzione compiuta, dandosi il cinque e accendendo sigarette. Quella musica era un messaggio rivolto a noi?
Ho provato inutilmente a fare ragionare Tornello Vianello su questi fatti. Quell'uomo è ottuso, rozzo e incapace. Ci siamo lasciati dopo un lungo litigio. Ho deciso che tornerò da solo, assieme ai miei fidati collaboratori, dissociandomi da questa inutile e sanguinosa spedizione. Tornello proseguirà per altre strade, probabilmente gozzovigliando in taverne e bordelli con i suoi degni amici militari. Marcello Foccas Gagliardi De Pepoli, che ci sta riportando in Italia, condivide le mie conclusioni: non c'è nessuna certezza che Monello Vianello sia morto. Aggiungo una valutazione che non pertiene per nulla al rigore giornalistico, ma alla sfera dell'umano: qualcosa mi dice che sentiremo di nuovo parlare di quest'uomo. Per quel giorno, sempre che arrivi mai, spero anche che il governo cinese abbia liberato il clone numero uno di Vianello Monello: sarebbe bello, ve lo confesso, che entrambi i fratelli, finalmente in libertà, tornassero nella loro città Natale e magari, perchè no?, raccontassero la loro storia in due rubriche parallele sul Corriere del Veneto.
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