sabato 21 febbraio 2009

L'ispettore Cibotto e il mistero di Pechino


"Cosa ne sapevo io che Helmut era suo fratello?", pensò l'ispettore Cibotto, nel congedarsi dall'iracondo zingaro bresciano Hector. L'ispettore Cibotto aveva ucciso Helmut nei sotterranei dell'Interporto, dove aveva sede la loggia massonica di Orlando Lupani. Mai avrebbe immaginato di guastare i rapporti con il suo amico khorakanè, possessore dell'ubicazione delle porte d'accesso al regno di Agarthi. "Vabbè, prenderò l'aereo - pensò - Ma poi come ci entro nel bunker blindato in cui tengono nascosto il clone numero uno di Vianello Monello?".
Il suo piano era complicato ma funzionale: avrebbe individuato l'edificio di Pechino in cui veniva segregato il suo bersaglio. Quindi si sarebbe introdotto all'interno, mentre fuori impazzava una banda di ribelli uiguri, che avrebbe tenuto a bada la polizia locale. Avrebbe eluso i blocchi delle guardie recitando un antico scioglilingua malese che provocava il cedimento di alcuni terminali nervosi, facendo crollare le persone al suolo, incoscienti. Per sbloccare le porte blindate avrebbe crackato le password d'accesso, grazie a consigli reperiti in un forum e a un coso tecnologico in grado di aprire tutte le porte informatizzate, proveniente dal 2078 e finito in mano sua per colpa di un paradosso spaziotemporale. Aveva quasi finito di elaborare il suo piano, che squillò il cellulare. Era Gaio Barfowskji.
"Dimmi, Gaio - rispose l'ispettore - Come ho fatto a riconoscerti? Ho letto le ultime parole del capoverso precedente". "Ho parlato con Monello Vianello. Vediamoci al Bistrot tra cinque minuti, ti racconterò tutto". Cibotto salì in macchina e corse fino all'appuntamento. Gaio lo attendeva ad un tavolino, sorseggiando un Sanbitter. Lo accolse con un rutto. "Come sai, Monello Vianello è sano e salvo e vive a Prypiat, assieme ad alcuni amici. Non ha alcuna intenzione di tornare in questa città di cacca. Ma è favorevole ad una task force per liberare il clone numero uno Vianello Monello". E questo Barfowskji lo disse proprio mentre ruttava. "Bene - sentenziò l'ispettore Cibotto - Avete un piano o volete sentire il mio?" Gaio Barfowskji gli si avvicinò e sussurrò: "L'idea iniziale era questa: avvalersi della collaborazione di una banda di ribelli uiguri per tenere a bada la polizia locale, mentre si irrompe nell'edificio di Pechino in cui si trova il nostro uomo. Per eludere i blocchi delle guardie, conosco un antico scioglilingua malese, che provoca la paralisi immediata, mentre per sbloccare le porte blindato bastano due crack pescate in qualche forum sul web e un'attrezzatura tecnologica che mi hanno prestato gli alieni. Dopodichè, per fuggire, useremmo il teletrasporto dei fratelli Colasberna". Cibotto lo fissò, grattandosi il mento con aria perplessa: "Mi sembra un piano banale e prevedibile. Soprattutto la parte del teletrasporto. Dovremmo inventarci un piano di fuga più articolato". Gaio abbassò il capo, ammettendo la sconfitta: "Tu cosa proponi?". Cibotto espose le due ipotesi: la prima, torturare a morte l'amico Hector per fargli sputare i segreti dei tunnel sotterranei che collegano Agarthi al resto del mondo, usufruibili per spostarsi facilmente per distanze molto lunghe in breve tempo; avvalersi della collaborazione di un team di nani per scavare una galleria di fuga; farsi prelevare sul tetto da un elicottero invisibile ai radar e ai rilevatori di calore. "In alternativa - concluse Cibotto - potremmo fuggire utilizzando il teletrasporto dei fratelli Colasberna". Gaio Barfowskji soppesò accuratamente le quattro ipotesi: "Quella del teletrasporto non mi convince, ma è la più funzionale", rilevò. "Vada per il teletrasporto!", disse Cibotto, alzando il bicchiere in segno di brindisi.

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