lunedì 11 ottobre 2010

Guerra o pace? L'opinione del prof. Pizzaruti

Siamo infognati in un nuovo sanguinoso Vietnam o in una missione di pace che si concluderà inevitabilmente con il trionfo del Bene sul Male? Nei giorni del lutto silenziose per le ennesime vittime italiane in Afghanistan, questo blog non si sottrae dal dovere di fare informazione e opinione. Abbiamo chiesto un'analisi della situazione a Renè Pizzaruti, esperto di crisi internazionali e docente di Euristica delle Trame dei Puffi alla Università di Milano Due.

Professore, quando finirà questa missione umanitaria?
Verrebbe da dire: quando i governi occidentali converranno che è molto meglio spendere miliardi per costruire strade e scuole, che non per radere al suolo un paese a suon di bombe. Quindi mai. Limitiamoci ai dati di fatto. L'Italia è impegnata in Afghanistan con 3.400 uomini. In sei anni ne sono morti 34. Mantenendo questa media, occorreranno 596 anni prima che il contingente italiano sia completamente rientrato in patria.

Non c'è una via di uscita alternativa?
L'alternativa sarebbe sterminare tutti gli afghani, ma occorrerebbero diecimila anni. A meno di non ricorrere a massicci bombardamenti atomici, il che ridurrebbe i tempi di molto, ma provocherebbe probabilmente la quasi totale estinzione della razza umana. Questa soluzione, tuttavia, è compatibile con lo spirito e le regole di questa missione umanitaria della Nato.

Lei pensa che nove anni di guerra siano serviti a qualcosa?
Molti vedono il bicchiere mezzo vuoto: in Afghanistan la democrazia è un sogno, Bin Laden non si trova, la popolazione vive nella miseria, eccetera. Guardiamo le cose da un altro punto di vista: in un momento di profonda crisi economica, l'unico settore dell'industria che ha registrato un aumento del fatturato è quello delle armi. Per non parlare della droga. Inoltre si è tratta di una modestra ma incisiva risposta all'esplosione demografica che sta provocando il collasso del pianeta. Se vogliamo restare con i piedi per terra, è un'opportunità occupazionale anche per tanti giovani italiani che non trovano lavoro e che come soldati possono portare a casa uno stipendio oppure essere eliminati prima che diventino un peso per la comunità. Ricordiamoci poi che la guerra produce morti, come dimostrano le continue stragi di civili da parte dell'esercito occupanti, e i morti sono un ottimo concime per il terreno.


I soldati italiani sono noti in tutto il mondo per la loro simpatia e affabilità. In Somalia ricordano con gioia gli amabili scherzi goliardici dei nostri militari durante la missione Ibis. Come mai i talebani ce l'hanno tanto su con noi?
Lei giustamente ricorda l'esperienza somala, testimoniata all'epoca dai bei dossier di Panorama: lì si raccontava una verità diversa dalla truce immagine di soldati impegnati ad ammazzare e squartare gente, mostrando una realtà fatta di allegri giochi con la corrente elettrica sui testicoli dei prigionieri, per non parlare del simpatico stupro della ragazza somala con un bengala, che meglio di ogni discorso retorico declinano il mito degli italiani brava gente. Ora giustamente si chiede: perchè quei musoni dei talebani ce l'hanno su con noi? Io credo perchè non hanno senso dell'umorismo. Si vede al primo sguardo e del resto è tipico dei fanatici religiosi.

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