lunedì 16 febbraio 2009

La lunga notte dell'ispettore Cibotto

Si girò e rigirò più volte per le mani l'articolo del Corriere del Veneto che aveva appena letto, mentre il mozzicone di sigaro si spegneva lentamente nel posacenere. Aveva lavorato con le parole per un'intera vita: abbastanza per sapere interpretare immediatamente un messaggio nascosto tra i caratteri. E quelle poche righe a firma di Ugo Savoia dicevano una sola cosa: Monello Vianello era ancora vivo. Nessuna certezza, ma nemmeno alcuna prova del contrario. Era comunque un buon punto di partenza per un'indagine. Gian Antonio Cibotto appallottolò l'articolo e lo lanciò nel camino. Si alzò, indossò l'impermeabile ed uscì.
Fuori una pioggerellina fredda e pungente rendeva la città grigia e malinconica. Un picchetto di consiglieri comunali dell'opposizione era fermo, all'angolo della strada. Protestavano contro quella pioggia che non voleva smettere e che causava tanti disagi ai cittadini, ma soprattutto contro l'amministrazione comunale, che non faceva nulla contro questa sciagura. "Sono anni che la Provincia non ha un piano contro le valanghe - rincarava il consigliere provinciale Renzo Marangon - Alla prossima nevicata rischiamo di trovarci in grossi guai!" L'ispettore Cibotto scosse il capo e tirò dritto. Non aveva tempo per occuparsi di queste faccende. Si era appuntato mentalmente le priorità da affrontare: 1 - scoprire se Monello Vianello era vivo o morto ed eventualmente dove si trovasse; 2 - scoprire dove si trovasse il clone numero uno di Vianello Monello ed eventualmente liberarlo; 3 - scoprire chi erano i Vetusti Scaldapoltrone Ammuffiti e trovare il modo di tenerseli fuori da piedi (eventualmente chiedendo il sostegno di Matteo Salvini e Cristiano Pavarin). Nei suoi appunti mentali erano scritte alla rinfusa varie annotazioni, quali: contattare Celio Rodigino; scoprire se Maicol Colasberna era mai ritornato dal futuro; scoprire il mistero della moglie del tenente Colombo: perchè non la si vede mai in alcuna puntata del telefilm?; guardarsi le spalle dai complotti e tenere alla larga Tornello Vianello; consultarsi con il suo amico Hector, un rom khorakhanè di Brescia, per farsi cortesemente indicare la porta di accesso al regno di Agarthi; fermarsi dal tabacchino; recarsi nelle sedi di Forza Italia, Rifondazione Comunista e Pd a interrogare un po' di gente; parola sconosciuta da cercare oggi: discrasia.
Gian Antonio Cibotto non era un investigatore. Era solo uno scrittore. E questo era il suo punto di forza. Molti investigatori avevano tentato di capire cosa fosse successo a Monello Vianello. Nemmeno l'ispettore Dupin ne era venuto a capo. La scomparsa di Monello Vianello, con tutte le conseguenze che ciò aveva comportato per il Polesine, non sarebbe stata risolta da un investigatore. Fu in quel giorno piovoso che lo scrittore Gian Antonio Cibotto, mentre leggeva quell'articolo, decise che sarebbe sceso in campo: sarebbe stato lui, l'ispettore Cibotto, a risolvere il groviglio di trame rimaste in sospeso con la scomparsa di Monello Vianello. Avrebbe avuto poco tempo per farlo: la traballante giunta di Antonio Costato, che mirava a recuperare i fasti della Rivoluzione Culturale, era prossima a cadere per l'astio tra l'assessore Nadia Romeo e il braccio armato del movimento, guidato da Matteo Salvini e Cristiano Pavarin. E il patto con gli esseri del pianeta Chulak stava già sfruttando le crepe della giunta per riportare al potere con prepotenza i Vetusti Scaldapoltrone Ammuffiti. Più forti di prima, dopo avere annichilito l'ultimo esperimento rivoluzionario, avrebbero dominato incontrastati per secoli. E avrebbero impedito a chiunque di fare luce sul mistero di Monello Vianello: doveva rimanere sepolto, per il quieto vivere di tutti.
Fu con queste considerazioni in mente che l'ispettore Cibotto salì in macchina e partì rombando in prima verso la zona industriale di Rovigo.

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