giovedì 29 ottobre 2009

Lettera di Monello Vianello ai polesani


Cari tutti voi,
ieri sera la mia villa è stata teatro del quarto gruppo di lavoro sul caso Moro, un ciclo di riunioni che ho avviato assieme ad alcuni amici intellettuali, al fine di fare luce su uno degli episodi più controversi della storia repubblicana. Eravamo a cottura: Gelmino Barozzi, scienziato di Oca Marina in odore di Nobel, aveva passato l'ultima settimana a fare calcoli matematici per stimare l'entità di un ipotetico riscatto per il leader della Dc. Assieme ad un amico assicuratore aveva creato un algoritmo per valutare quale potesse essere l'eventuale richiesta del rapitore, utilizzando un database di 3.200 casi di rapimento e inserendo come parametri lo status sociale e l'importanza pubblica del rapito, le possibilità di spesa della controparte, la pericolosità dei rapitori. Alla fine Gelmino è arrivato sventolando un foglietto di carta con su scritto: quattro milioni di euro. Una cifra spropositata, certo, ma non per una figura illustre quale, appunto, il rapito.
Augusta Taurinense, moglie del disperso Celio Rodigino, ci ha confermato, dopo un recente viaggio nel tempo, che all'epoca le trattative per un riscatto ci furono, eccome. E sebbene si vociferi che un intervento dei servizi segreti americani abbia fatto fallire tutto, la signora Taurinense riteneva che si trattasse della solita tesi farlocca. Del resto, in Italia, quando non si sa chi accusare, si accusano gli Stati Uniti, con virulento antiamericanismo, come accaduto per la tragedia del Cermis. Eravamo dunque arrivati a una sconcertante conclusione: le Brigate Rosse avevano chiesto davvero quattro milioni di euro per liberare Moro, ma il governo non pagò. Non perchè prevalse la linea dura, ma perchè, come spiegò disperato il ministro dell'Interno, Francesco Cossiga, l'euro non sarebbe entrato in circolazione prima di ventiquattro anni. Un paradosso o una presa in giro delle Br alle istituzioni?
Stavamo per dipanare questo enigma, quando il rumore del campanello ci ha interrotto. Alzatomi e recatomi al portone, mi sono trovato davanti due giovani sconosciuti, accompagnati da una donna a me familiare. Senza farla lunga, erano Antenore, Cicciuzzo Monello e Gesualda Laputtana. "Il Polesine ormai ci disprezza, ospitaci nella tua villa", mi dissero. Dopo tanta strada per raggiungermi avrei forse potuto mandarli via? In teoria sì, perchè sono un figlio di cane. Ma come non commuoversi di fronte alle richieste di figlio di un incesto fatto nascere a forza, un clone malriuscito e una pornodiva in disarmo?
Ebbene, cari polesani, questa famiglia in cerca di un futuro vivrà con me, nella mia tenuta in Calabria, dove spero trovino un po' di serenità. Ma non pensiate che sia la fine della vicenda. Mentre in Polesine tutti resta fermo, grandi eventi stanno per accadere anche qui a Laureana di Borrello, come in repubblica Zenana, a due passi da voi. Vi terrò aggiornati.

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