A Ban Ki Moon, segretario generale delle Nazioni Unite
Signor Presidente,
desidero innanzitutto ringraziarla, nella drammatica situazione nella quale mi trovo, per il fervido messaggio che ha voluto formulare per la salvezza della mia vita. E’ un segno, tanto autorevole quanto gradito, del suo ben noto spirito umanitario, della benevolenza di cui mi fa oggetto da anni, da quando cioè ebbi la ventura di trattare con lei dei problemi della regolamentazione dell’industria dell’hard e di giungere poi alla felice conclusione del Mi-Sex.
In tutto questo tempo ci siamo scambiati reciproca stima e simpatia.
Bene, ora mi trovo nella condizione di prigioniero politico e intorno a questa mia posizione è aperta una vertenza tra le istituzioni polesane e le Br-Pcc intorno alla conversione a canapa indiana di Polesine Camerini. Il suo alto appello umanitario non ha potuto così conseguire il risultato desiderato.
La cosa, benché presenti qualche difficoltà, non è di per sé né assurda né irrisolvibile. Vi sono ostacoli politici ai quali gli enti locali attribuiscono caratteri di durezza. Gli ostacoli non sono, però, insuperabili: la sua presenza in Polesine, la conoscenza del contenzioso, la Sua abilità diplomatica, la Sua capacità mediatrice dovrebbero poter sbloccare la difficile situazione, salvare la mia vita, creare un’area di distensione utile alla pace.
Forse il suo sacrificio, con adeguata pressione su una posizione irragionevole degli enti locali polesani, potrebbero fare il miracolo che attendo non per me, ma per la mia disgraziata famiglia e per la povera casa di produzione cinematografica. Purtroppo il correre del tempo è inesorabile.
E io sono obbligato a supplicare che l’emergenza sia affrontata senza ritardo. La ringrazio, eccellenza, per quanto Ella potrà e vorrà fare e a nome anche dei miei le porgo gli ossequi più devoti.
Cicciuzzo Sconciaforni
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