"Purtroppo non abbiamo competenze in materia - ribadisce l'assessore al Lavoro, Guglielmo Brusco, come già detto al Corriere del Veneto qualche settimana fa - e purtuttavia abbiamo deciso di sfruttare le competenze che abbiamo per alleviare le sofferenze di tanti lavoratori che da un giorno all'altro non sanno più come portare a casa il pane quotidiano". Il piatto piange, spiega Brusco, e in cassa non è rimasto nemmeno un soldino da destinare a disoccupati e cassa integrati. "Ma Gesù, che è stato il primo comunista della storia, diceva di dare la canna da pesca e non il pesce - aggiunge - Da qui l'idea di sfruttare una delle poche cose di nostra prerogativa per farne una campagna di solidarietà sociale: in accordo con l'assessorato alla Pesca dell'amico Sandro Gino, abbiamo deciso di regalare a tutti i disoccupati una licenza di pesca. Ciò avrà effetti benefici, perchè consentirà di procurarsi il pasto con una mattinata di paziente attesa lungo canali e scoli del Polesine. E in più non sottovalutiamo l'effetto benefico a livello psicologico: tante persone senza lavoro, invece di passare le giornate chiuse in casa, trascorreranno le ore all'aperto, svagandosi e distraendosi da pensieri cupi".
Concorde la giunta Saccardin: "Ieri abbiamo guardato perfino nel guardaroba, sai mai che non trovi cinquanta euro nelle tasche del paltò. Io personalmente ho spulciato anche la mia biblioteca, chè a volte uno lascia i soldi nei libri, ma niente - ribadisce - Eppure non siamo insensibili al problema della disoccupazione, che anzi ci tocca direttamente, giacchè molti di noi alla prossima tornata elettorale rischieranno di rimanere senza un posto di lavoro. Anzi, diciamolo, siamo noi i primi precari". L'amministrazione provinciale sta inoltre vagliando misure extra, quali concorsi a premi per la carpa più grossa pescata nei canali polesani e la sfida "indovina il peso e chi vince si porta a casa la pancetta". A tutti i partecipanti sarà comunque garantita una targa e una cerimonia di consegna nella sala consiliare.
1 commento:
Non poteva essere diversamente. Anche la fiction su Giuseppe Di Vittorio, Pane e Libertà, mandata in onda dalla RAI nei giorni 15 e 16 Marzo, dopo tante già propinate negli ultimi venti anni negli schermi televisivi su politici, papi, “foibe”, personaggi od episodi del ventennio fascista, della Resistenza, della storia sociale dell’Italia degli ultimi due secoli, si inserisce nel grande filone del falsificazionismo e del revisionismo storico per imporre alle nuove generazioni un’assimilazione dei fatti e dei personaggi della storia, indelebile con l’immagine e spesso con la buona recita degli attori (buona non si riferisce alla corretta interpretazione dei personaggi, ma semplicemente alla elevata capacità professionale), nel segno del pensiero unico, fondato sulla negazione della lotta di classe come motore della storia mondiale e quindi sulla priorità degli aspetti individuali su quelli sociali, cioè sull’assegnare una maggiore importanza ai fatti della vita privata rispetto alle relazioni sociali, ai rapporti di produzione che stimolano la coscienza sociale.
Il pensiero unico, un mix di liberalismo e conservatorismo aristocratico, battezzato alla fine degli anni ’80 del XX secolo (con la ristampa di A. De Tocqueville, L’antico regime e la rivoluzione, Rizzoli, Milano, 1989; con la rivalutazione sui mass media di Nietzsche e con l’esaltazione dei nuovi filosofi ed in particolare di Foucault) come “nuovo pensiero”, tanto caro anche a Gorbacev e Shevarnadze per disintegrare l’Unione Sovietica, è fondato sull’associazione comunismo = totalitarismo e sulla negazione della validità storica alla categoria del comunismo. E dato che questa categoria aveva affascinato per un secolo centinaia di milioni di uomini e donne di tante generazioni, non potendosi confutare il fatto che personaggi comunisti hanno lasciato una grande impronta non soltanto nella storia sociale, ma anche in ogni ramo delle attività creative del pensiero e dello sport, ecco pronta per i militanti comunisti l’antica classificazione tra cattivi e buoni; La maggior parte dei comunisti, trattati come cattivi, come orchi, dirigenti freddi e spietati, la minor parte come ingenui visionari, manipolati o bistrattati dagli orchi del potere statale o della gerarchia di partito.
Ma ritorniamo a Pane e Libertà ed al suo personaggio, Giuseppe Di Vittorio.
Gran parte delle due puntate è dedicata agli accadimenti familiari, mentre i fatti politici che hanno segnato la militanza del leader storico della CGIL rimangono in secondo piano od in ombra oppure completamenti assenti. Come è ad esempio l’adesione al Partito comunista, la sua lotta clandestina durante il fascismo e la sua formazione politica, come quella degli altri confinati, attraverso lo studio del marxismo, del leninismo, dell’economia politica e della politica economica che si applicava in Unione Sovietica, fino a diventare segretario generale della CGIL.
Dell’Unione Sovietica si fanno alcuni brevi riferimenti per dileggiare Stalin e l’Internazionale Comunista sia sul “socialfascismo” e sul “patto di non aggressione”, senza gli opportuni approfondimenti storici, limitandosi ad alcune generiche affermazioni didascaliche, contrapponendo il Di Vittorio “indignato” al “cinico” Togliatti pronto a giustificare tutto. Certo le divergenze o le differenze di posizioni nell’Internazionale su questi fatti vi furono e vi furono anche quando fu richiamata la politica dell’alleanza antifascista ed antinazista, al tempo della guerra di Spagna. Ma se, se ne vuole parlare, bisognerebbe dare al pubblico la corretta informazione storica, seppur sintetica, e non propinargli slogans di comodo.
Nella fiction si dimentica altresì il ruolo di DI Vittorio nell’organizzazione della Resistenza, come pure nelle occupazioni delle terre (si fa solo un accenno e di rimando si presenta il personaggio pronto a dimenticare e perdonare i soprusi e le pene corporali subite dai campieri degli agrari, proprio mentre incalzava la lotta di classe!) e nei grandi scioperi per la difesa del lavoro nelle grandi e medie fabbriche del Nord, segnati da decine di lavoratori caduti come a Modena nel 1953. Della liberazione dell’Italia e dell’Europa si mette in evidenza solo la presenza delle truppe, dei carri armati e delle bandiere americane; mentre, come anche nel film di Benigni, La vita è bella, non vi è traccia della grande offensiva delle truppe e dei carri armati sovietici per sconfiggere il nazi-fascismo e liberare i prigionieri dai campi di concentramento. Ricordiamo che gli americani arrivarono a liberare solo il campo di Dacau, tutti gli altri campi, a partire da Auschwitz, furono liberati dai sovietici e la cosa vergognosa nell’informazione RAI e nei discorsi dei politici di casa nostra è che in occasione della shoà, che si ripropone ogni anno il 27 Gennaio, proprio nell’anniversario della liberazione del campo di Auschwitz, spesso non si ricordi il sacrificio dei soldati sovietici ed il fatto che furono loro a liberare i campi di concentramento e più di metà dell’Europa. O quando lo si ricorda si dice che è stato un fatto effimero perché “è arrivata una nuova dittatura” come nella fiction su Perlasca.
Non è mancato, naturalmente, di mettere in rilievo l’entrata dei carri armati russi a Budapest e quindi la riproposizione della contrapposizione tra Di Vittorio e Togliatti. E’ vero, in una prima fase, la posizione di Di Vittorio e quella di Togliatti scaturivano da diverse angolazioni di lettura degli avvenimenti; ma da ciò non si può sentenziare la “netta opposizione di Di Vittorio” alla presa di posizione dei Partiti comunisti, in quanto Di Vittorio, per mantenere l’unità della CGIL, ha dovuto mediare con la posizione di una parte della corrente socialista nel sindacato.
Tutte le fiction che
la RAI ha mandato in onda, dunque, contengono un messaggio “rivoluzionario” per le nuove generazioni di studenti e per gli anziani che si vogliono acculturare: non andate a leggere libri di storia, freddi, noiosi, anche se corredati da fotocopie di documenti e fotografie, roba da perditempo, posatevi tranquillamente su un comodo divano davanti il televisore e vedrete una “storia” vivamente interpretata come strumento di “moderna qualità didattica”.
Mi permetto aggiungere: uno strumento didattico per propagandare l’ideologia delle classi dominanti. Come mi è capitato di scrivere altrove, nell’attuale momento storico la classe dominante, prima di imporre la sua volontà d’imperio con la forza, vedi le guerre imperialistiche, cerca di affermare il suo dominio ideologico con la demagogia sui “diritti umani” o meglio con la manipolazione di quei diritti umani, sanciti in ogni Costituzione, scaturita da un movimento popolare, a partire dalla presa della Bastiglia. Il diritto dell’uomo e della donna all’indipendenza economica tramite il lavoro, il diritto alla salute, alla fruizione dei beni comuni, alla libera espressione ed organizzazione si è trasformato con l’insistente propaganda dei mass media nel diritto alla libera circolazione dei capitali, delle merci e dei professionisti del capitale. Chi vuole modificare questa nuova impostazione per regolamentare le relazioni sociali e di scambio viola i “diritti umani”. E’ vero, la libertà di parola è praticata nei paesi difensori dei nuovi diritti umani ma è tollerata fino a quando non è offensiva alle regole della classe dominante. Per farla breve, la nuova versione dei diritti umani, i nuovi regolamenti, le fiction rappresentano il nuovo canto delle sirene, che a differenza di quello mitologico che interessava solo i naviganti, questo rappresenta una trappola mortale per i popoli di tutto il mondo.
Giuseppe Amata
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