venerdì 29 maggio 2009

Romanzo Pulp - Capitolo primo

"Tirati su quelle braghe, ti si vede il pelo pubico!" La mia domanda lo infastidisce. Mi rivolge uno sguardo velenoso: "E tu che cazzo vuoi? Chi sei?" Il piazzale dell'Interporto è soffocato dal sole delle due del pomeriggio. Il calore fa tremolare l'aria e distorce le immagini in distanza. Guardo con aria divertita questo gruppetto di breakers che cazzeggia in questo ampio spiazzo di cemento e asfalto, completamente deserto. Fornisco le mie generalità al maleducato, che scoppia a ridere. "Non puoi essere Monello Vianello. Tutti sanno che si trova a Prypiat e che a Rovigo non ci vuole più mettere piede! Mi hai preso per fesso? Ma lo sai chi sono io?"
Lo so benissimo, gli rispondo. Gli dico che non pensavo che uno come Renzo Marangon passasse i pomeriggi a fare il teppistello di periferia. "Anche tu, Mario, hai pure una certa età!", gli dico, con fare patetico. Marangon fa per incazzarsi, ma Borgatti lo placa. "Da quando mi hanno tolto la segreteria di partito non ho quasi più nulla da fare - mi replica, tra l'acido e il depresso - E ho un animo troppo gagliardo per arrendermi a dare da mangiare ai piccioni al parco o vagabondare al centro commerciale in cerca di aria condizionata". Marangon gli fa cenno di tacere: "Prima ci dici chi sei, tu che ti spacci per Monello Vianello!" Sbuffo. Questo ragazzo è davvero indisponente. Ebbene, dico, ti spiego tutto, stronzetto saccente.
Gli spiego che in effetti Monello Vianello è fisicamente a Prypiat, in Ucraina. Io sono un automa con il suo aspetto, manovrato a distanza via satellite e comandato da Monello Vianello attraverso un'interfaccia per la realtà virtuale. Quando non sono in funzione mi tengono al sicuro in un magazzino in centro. Non sto a spiegargli perchè esisto e cose del genere. Sembra che Marangon si accontenti della mia spiegazione. "E tu, con tutto il lavoro che hai da fare a Venezia, perdi il tuo tempo qui?", lo incalzo. Mi risponde che lui e Mario sono come fratelli di sangue. Che bisogna godersi la vita con gli amici più cari, specie quando cercano di toglierti tutto quello per cui ti sei fatto un culo così. "Sto bene qui - mi dice - Fanculo quei quattro fighetti che ci ghettizzano. Noi nel ghetto ci stiamo bene. Ascoltiamo musica hip hop, ci sballiamo e quando arriva Paolino, dopo il lavoro, facciamo a ruota alta col Fifty". Mario caracolla sullo skateboard, tentano un audace salto di un cordolo di cemento. La tavola ricade a terra con uno schiocco, che rimbomba nel silenzio del piazzale. Faccio per porre la domanda cruciale, quella per cui da una settimana inseguo senza fortuna Renzo e la sua banda. Ma vengo interrotto. "Ancora voi?", grida una voce. Giuseppe Fini si affaccia al balcone della sede dell'interporto, agitando il pugno. "Ragazzacci, finisce che vi dò una bella lezione! Non potete stare qui!" Alcune settimane fa un ragazzino è caduto in un tombino. Ma dicono che ce l'abbiano buttato apposta per dispetto. "E' tornato il vecchio! - grida ridendo Renzo - Diamocela a gambe, raga!" Saltano in sella alle bici e schizzano via prima che io riesca a fermarli. Fini esce agitando minacciosamente una scopa. Mi infilo in macchina e sgommo. "Te l'avevo detto che era una perdita di tempo", mi dice Celio Rodigino, sghignazzando, mentre lasciamo l'interporto a tutta velocità.

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